Il dibattito scientifico sulla coscienza è ampissimo e multiforme. Il tema incrocia valori, credenze, filosofie, approcci epistemologici e trova miriadi di correnti di pensiero. Spesso si parla di riduzionisti, che tendono appunto a considerare la coscienza come un epifenomeno materiale derivante dalle funzioni sviluppate nel cervello; e di antiriduzionisti che sostengono un’indipendenza della coscienza dal cervello e dal corpo.
Alcune correnti di pensiero cercano da anni di considerare il rapporto tra mente e corpo come un continuum, altri considerano che esiste solo una realtà che comprende entrambi, mentre gli studi recenti sul cervello imbrogliano le carte perché possono determinare visioni contrapposte.
La coscienza è dentro o fuori di noi?
La coscienza è un’emergenza del cervello? Si è venuta formando attraverso l’evoluzione? Dove si trova la coscienza se la cerchiamo nel cervello? La “pappa di neuroni” che alberga nel cervello in che modo è responsabile della coscienza o, come si tende a dire oggi, della mente che ne rappresenta la manifestazione?
Anche se la Risonanza Magnetica Funzionale e la PET (Positron Emission Tomography), oltre alla magnetoelettroencefalografia, consentono di conoscere quali parti del cervello vengono attivate nei diversi stati di coscienza, tuttavia l’esperienza soggettiva non è in alcun modo localizzabile.
Da questa considerazione partono diversi spunti teorici, arricchiti dalla meccanica quantistica, che presenta realtà ben diverse da quelle conosciute nella fisica classica e peraltro altrettanto ben dimostrate in laboratorio e nelle ricerche scientifiche. In particolare certi eventi sono determinabili e riconoscibili solo quando l’osservatore compie l’atto di osservare l’evento stesso, in un certo senso rappresentando la coscienza di ciò che c’è in quel momento nel suo campo di conoscenza, come del resto avviene in qualunque fenomeno umano. Infatti quando si ha coscienza di qualcosa, esterno o interno, si realizza un atto di osservazione soggettivo, valido nel “qui e ora” di quel rapporto tra osservatore ed osservato.
Telepatia o entanglement?
Nel campo dei fenomeni anomali, come quelli paranormali, ciò che sembra avvenire ricalca fedelmente questo processo. Banalmente, se si pensa ad una persona che è tempo che non vediamo e non c’è ragione perché si faccia viva in quel momento e dopo pochi secondi la persona chiama, diventa difficile spiegare tutto con il caso e la coincidenza.
Sembra più congruente pensare ad un tipo di rapporto che si è realizzato, anche se al di fuori delle normali sensorialità, come se due menti – per qualche ragione specifica – per un attimo si fossero interconnesse attraverso canali o modi per adesso sconosciuti.
Un’interpretazione di questo tipo diventa più attendibile se allo stesso soggetto accadono ripetutamente fenomeni di questo genere: ecco allora che non si tratta di un evento spot, bensì di un ricorso frequente a coincidenze troppo significative per essere liquidate con superficialità. Se le persone mettessero più attenzione a questi accadimenti, potrebbero scoprire che la cosa non è così casuale, anzi che ha una ricorsività quanto meno sospetta.
Sappiamo che l’entanglement, indicato come una possibilità delle particelle di essere in connessione tra di loro, potrebbe essere una valida spiegazione. Quindi potremmo allargare il discorso alla coscienza, la quale ogni tanto entrerebbe in connessione con altre coscienze con modalità similari, sfruttando risonanze energetiche comuni. Proseguendo nella riflessione possiamo giungere a considerare che se qualche volta capita per qualcuno, teoricamente può capitare spesso per molti, anzi potrebbe essere la condizione normale, solo che noi, esseri umani, non lo sappiamo.
Le pratiche che rendono la mente o la coscienza più sottile, in fondo lavorano su questo: acquisire maggiore consapevolezza di sé, distacco dall’io, apertura di canali verso l’alto, ascolto degli stimoli o messaggi che arrivano sia dall’interno che dall’esterno. E’ un po’ come se la mente si espandesse al di là del nostro corpo o come se risuonasse non solo delle informazioni acquisite, bensì di quelle presenti in altre menti (telepatia docet). Se la mente si espande e se la non località della mente (coscienza) sono ormai dimostrate nei laboratori e nelle sperimentazioni scientifiche (OOBE, NDE, ecc.), allora si può cominciare a pensare a ciò che sostiene il filosofo e fisico Margenau: esiste una mente universale.
Rupert Sheldrake ha sottolineato che le ricerche conducono a pensare ad una “mente estesa”, non confinata nel cervello, bensì allargata e in contatto con altre menti o altre fonti di informazione. Margenau si spinge ancora più avanti e suppone, anzi è convinto che le menti siano una parte indivisibile della Mente Uno, unica, che si sostanzia nelle differenze locali per le interferenze che la connessione subisce, ma che di fatto anche nel singolo individuo sarebbe essa stessa ad operare. Jung indicava nell’inconscio collettivo il punto di riferimento di tutte le esperienze vissute dagli esseri umani e quindi una fonte di memoria globale dell’umanità; siamo ancora di fronte al concetto di unicità della mente.
Esistono molte teorie contrapposte su questa tematica, tuttavia possiamo anche riconoscere che alcuni ricercatori e pensatori di altissimo livello tendono a considerare la Mente Universale come una realtà comprovata dai fatti e tra questi sicuramente una parte la gioca, anche, la Ricerca Psichica.